Sul calo degli aborti (-9%) arriva l’«effetto EllaOne»
Boom nel consumo di «pillola dei cinque giorni dopo»
E l’11% dei «non obiettori» non pratica interruzioni
L’Italia in pieno inverno demografico ha un altro dato molto significativo da esibire: tra il 2014 e il 2015 al calo delle nascite (17 mila in meno) ha corrisposto una diminuzione degli aborti, passati dai 96.578 a 87.639, con un calo di quasi 9mila unità in un anno (dal 2013 all’anno successivo la diminuzione era stata pari a 6.182). Salta all’occhio la sproporzione nei due trend, entrambi consolidati ormai da alcuni anni: se il calo demografico in un anno è stato pari al 3,4%, per gli aborti c’è stato un vero e proprio crollo del 9%. Dunque non un parallelismo aritmetico ma evidentemente l’irruzione di altri fattori che esulano dalla semplice erosione del numero di donne in età fertile.
La relazione del ministero della Salute sull’applicazione della legge 194 sull’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) nel 2015, pubblicata ieri e depositata in Parlamento, individua la probabile causa di questo calo senza precedenti con un nome: EllaOne. Si tratta della ‘pillola dei cinque giorni dopo’ che interviene sulla gravidanza eventualmente appena iniziata impedendo l’annidamento dell’embrione nell’utero. Dunque, nel caso in cui il rapporto sessuale abbia dato origine a una nuova vita, è un aborto precocissimo, che il prodotto – catalogato dalla burocrazia farmaceutica europea e italiana come ‘contraccettivo d’emergenza’ – provoca senza che ovviamente sia possibile classificarlo e conteggiarlo nelle statistiche ufficiali non essendoci alcuna certificazione dell’incipiente maternità. Dall’aprile 2015 è infatti possibile alle donne maggiorenni acquistare in farmacia EllaOne senza la ricetta medica, sino ad allora obbligatoria, col risultato che – dati Aifa alla mano – la vendita di questo contraccettivo- abortivo è schizzata dalle 16.797 confezioni del 2014 alle 83.346 dell’anno successivo. Un’esplosione del consumo pari al 400%, concentrata nel secondo trimestre 2015 e che è quasi certamente la causa della regressione re- p
entina degli aborti (comunque ben oltre le 80mila unità, per intenderci la popolazione di città di media grandezza come Como, Treviso o Grosseto). L’effetto collaterale del calo drastico degli aborti – ora ormai ridotti a quasi un terzo del dato- record di 234.801 del 1983 – lo si vedrà quasi certamente nelle prossime rilevazioni Istat sulle nascite: un ricorso tanto massiccio a un prodotto per prevenire la gravidanza o interromperla al suo primo insorgere farà quasi certamente scendere le nascite in modo ancor più significativo di quanto già drammaticamente registrato sinora.
Seguendo la pista degli aborti farmacologici, la relazione del ministero fornisce una notizia che emerge con chiarezza – e, possiamo dire, finalmente – dalle carte ufficiali: l’uso della Ru486, la pillola abortiva il cui principio attivo è parente stretto di EllaOne, ha causato nel 2014 un decesso certamente imputabile all’uso del ‘farmaco’, un episodio accaduto in Piemonte proprio a seguito di somministrazione in day hospital, ovvero senza tener conto delle indicazioni ministeriali che consigliano il ricovero fino ad aborto avvenuto. Un altro decesso – in Campania – si è verificato a seguito di un aborto chirurgico con uso di prostaglandine. «Fino ai due eventi registrati nel 2014 – si legge nel testo ministeriale – dalla entrata in vigore della legge 194 non risultano segnalazioni di decessi collegabili alla Ivg». Un altro capitolo che getta nuova luce è quello sull’obiezione di coscienza, col dato stabile nei medici obiettori (sempre poco sopra il 70%). La periodica polemica attorno al diritto di non praticare aborti da parte del personale medico e infermieristico, che punta il dito sull’asserita difficoltà ad accedere al servizio per carenza di medici non obiettori, non trova alcun conforto nei dati. Le strutture ospedaliere con reparti di ostetricia sono 654, il 60% delle quali pratica anche l’interruzione di gravidanza. Dunque, nessuna difficoltà di reperire ospedali attrezzati per praticare gli aborti. Un dato ancor più eloquente se lo si valuta alla luce del rapporto tra numero di aborti e nascite, pari al 20%. Infatti per effettuare un aborto ogni 5 nati sono a disposizione due reparti ospedalieri su tre. Ma non basta: esaminando il numero di aborti per singolo medico non obiettore si ottiene un dato che va dalle 0,4 interruzioni a settimana della Val d’Aosta alle 4,7 del Molise, con una media nazionale di 1,6. Morale: «Il numero dei non obiettori a livello regionale sembra congruo rispetto al numero delle Ivg effettuate, e il numero di obiettori di coscienza non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le Ivg. Quindi – conclude il Ministero – gli eventuali problemi nell’accesso al percorso Ivg potrebbero essere riconducibili a una inadeguata organizzazione territoriale». Ma c’è un dato eclatante che dovrebbe mettere definitivamente a tacere chi sostiene che ‘in Italia ci sono troppi obiettori’, con conseguente ricorso Cgil (respinto) all’organismo del Con
siglio d’Europa per i diritti sociali. Per la prima volta infatti il Ministero ha «chiesto alle Regioni se ci fossero ginecologi non obiettori non assegnati al servizio Ivg», che cioè potrebbero praticare aborti e non lo fanno perché evidentemente la domanda non è così elevata da richiederlo. Il risultato è stato sorprendente: «È emerso che a livello nazionale l’11% dei ginecologi non obiettori è assegnato ad altri servizi e non a quello Ivg, cioè non effettua Ivg pur non avvalendosi del diritto all’obiezione di coscienza». Come dire: altro che pochi, sono persino troppi… «La relazione ministeriale – commenta il presidente del Movimento per la Vita, Gian Luigi Gigli – dimostra ancora una volta la pretestuosità degli attacchi agli obiettori, mentre purtroppo continua a non dire nulla sulle iniziative per offrire alternative all’aborto alle gestanti in difficoltà, tradendo le finalità stesse della legge 194». (Avvenire 16dic2016)