Con una mano tiene il bastone e con l’altra si appoggia al braccio del cardinale Angelo Bagnasco. «Il Signore ci ha messo alla prova», ripete Maria Mannozzi. Ha 73 anni e una casa che dopo «51 anni di sacrifici», racconta, ha dovuto abbandonare per il terremoto. Il presidente della Cei la incontra appena arriva nella tendopoli di Ancarano, a pochi chilometri da Norcia. Perché Maria vive qui, a due passi dalla chiesa della Madonna Bianca dove lo scorso anno ha festeggiato le nozze d’oro e che a fine ottobre è stata sventrata dal sisma. Sono in settanta ad Ancarano che hanno come letto una brandina. «Grazie di essere fra noi», sussurra al cardinale.
È l’ora di pranzo. E Bagnasco è a metà della sua visita nell’Umbria piegata dal terremoto del 24 agosto e da quello terribile di dieci giorni fa. «Luoghi fantasma, segnati dalla devastazione », spiega il presidente della Cei mentre si muove nelle terre ferite dell’arcidiocesi di Spoleto-Norcia accompagnato dall’arcivescovo Renato Boccardo. «Le priorità sono la casa e il lavoro che vanno garantiti», rimarca Bagnasco nella frazione di San Pellegrino (visitata anche da papa Francesco). Ad agosto ci vivevano in 600; a fine ottobre in 140; oggi sono in 60 fra tende e camper. «La Provvidenza ha voluto che non ci fossero vittime – osserva il parroco don Marco Rufini –. Adesso la sfida è tenera unita la comunità. E la sola presenza costante è quella della Chiesa». Bagnasco cammina fra case divelte, mattoni a terra, mura squarciate. S’informa sui ragazzi, sulla sicurezza, sui progetti. «La gente deve tornare. Se si sente abbandonata, è finita. La Chiesa ma soprattutto le autorità pubbliche devono impegnarsi perché ciò non accada ». E nel tendone della Caritas si ferma in preghiera davanti a una statua della Vergine che il nastro adesivo tiene attaccata a un pilone d’acciaio. «È stata recuperata dalla chiesa distrutta», fa sapere il parroco. Al cardinale si avvicina Luisa Onori. «Se sono salva lo devo alla Madonna – gli confessa –. Sono uscita per andare a Messa e il tetto di casa è venuto giù per le scosse». A Norcia Bagnasco entra nel centro storico semidistrutto. Con un casco rosso in testa percorre Corso Sertorio. Si ferma in silenzio davanti alla Basilica di San Benedetto di cui resta in piedi solo la facciata. Come per la Concattedrale di Santa Maria Argentea. E quasi si commuove quando giunge alla chiesa dell’Addolorata ridotta a un cumulo di macerie. L’icona mariana, venerata da chi è nato qui, è stata recuperata. «Le chiese devastate – dice Bagnasco – prima che luoghi d’arte, sono parte dell’anima del popolo che le sente come fondamento della propria identità. Pertanto devono essere oggetto di attenzione, a cominciare dalle istituzioni». Nella piazza dedicata al patrono d’Europa le campane sono sull’asfalto, sotto la statua del santo rimasta intatta. «La Basilica crollata – riflette il cardinale, che è anche presidente dei vescovi europei – mi fa pensare al nostro continente che deve ripensare il suo cammino in modo nuovo e più determinato per il bene di tutti». La tappa nell’abbazia di Sant’Eutizio è da brivido: la collina e il cimitero che la sovrastavano sono precipitati sopra. E un pompiere rileva al porporato: potrebbe collassare tutto da un momento all’altro.
Non solo edifici, però. Il cardine del viaggio di Bagnasco nella Valnerina è l’abbraccio con chi ha perso tutto. Anche nella sala della Pro Loco di Campi diventata un dormitorio per 50 sfollati. O nel centro Caritas della parrocchia di Preci trasformato in “casa” soprattutto per gli anziani. «C’è dolore nelle persone – commenta il cardinale – ma che anche determinazione e fierezza. E il senso di appartenenza che sto sperimentando è un esempio per l’intera Italia. Se i borghi che ricamano la Penisola venissero meno, il Paese sarebbe più povero». Nel cimitero di San Salvatore dove il terremoto ha portato alla luce anche le bare il presidente della Cei prega. Appare un pastore: si chiama Sante Cetorelli. Intorno a lui 300 pecore. Piange: «Ci aiuti. Ho perso tutto: casa e ovili. Se ce ne andiamo, qui sarà solo deserto». L’ultimo incontro è con Viola, due mesi appena. Il cardinale l’accarezza a Preci, su una brandina. «I bimbi sono un segno di speranza. Pensiamo anche al loro futuro. Nessuno lasci sola la gente di qui. La Chiesa c’è e ci sarà».